Il valore aggiunto della psichiatria di comunità – Intervista a Benedetto Saraceno

Il valore aggiunto della psichiatria di comunità

Intervista a Benedetto Saraceno

Rebecca De Fiore, Giugno 2019
 
 

“L’intervento psichiatrico è fatto da due cose: il trattamento e il servizio. Agli psichiatri piace molto il trattamento, ma si occupano poco del servizio”. Ad affermarlo è Benedetto Saraceno, già direttore del Dipartimento di salute mentale e dipendente dell’organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), durante una open lecture organizzata da Ires Piemonte e Coripe Piemonte, nell’ambito del progetto “Verso una salute mentale inclusiva e partecipata. Giornate di approfondimento per gli operatori dei servizi della salute mentale”.

Saraceno ha sottolineato la cruciale differenza tra i servizi di salute mentale presenti nella comunità e i servizi di salute mentale a questa indirizzati e che si occupano di salute della comunità. Questa differenza, seppur possa sembrare minima, diventa rilevante quando i servizi si trovano all’interno della comunità senza rivolgersi alla salute mentale della popolazione.

È come dire a un chirurgo bravissimo a operare che una mattina improvvisamente deve farlo in cucina con i coltelli della frutta.

“Gli psichiatri – continua Saraceno- non hanno voglia di parlare di questa cosa. Sempre di più diventano bravi in delle cosine loro, fanno un sacco di corsi, ma nella sostanza se il servizio funziona poco, non fa le visite domiciliari, non è aperto alla comunità, non fa alleanze con la comunità e non costruisce reti collettive di intervento, la povera psicologa che si è formata per anni cosa può fare? Il fatto che sia una brava psicologa diventa totalmente irrilevante. È come dire a un chirurgo bravissimo a operare che una mattina improvvisamente deve farlo in cucina con i coltelli della frutta. Il contesto è tanto importante quanto le capacità individuali dell’operatore”.

Come diceva Franco Rotelli, suo maestro e amico, il miglior servizio è quello vuoto perché tutti sono nella comunità. I casi in cui un intervento di comunità è fondamentale sono molteplici, su tutti la psichiatria degli adolescenti. Nonostante si parli soprattutto di psichiatria degli adulti, infatti, il 75% delle malattie mentali iniziano prima dei 18 anni. “Certo che è un’età difficile, che i ragazzi non sono tutti matti e le scuole non vanno psichiatrizzate, ma il servizio deve porsi il problema di come intervenire su bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili. In questo caso non si può trattare il singolo individuo, ma bisogna considerarlo nel suo complesso”.

Per mostrare come la teoria non sia sufficiente, Saraceno racconta che a Ginevra, città dove vive da anni, c’è uno psichiatra ogni metro quadrato, ma il servizio psichiatrico è molto arretrato: tanto Lacan ed elettroshock e poca comunità. Del tutto diversa la situazione in Perù, dove, nella periferia di Lima, per incentivare gruppi di donne molto povere malate di tubercolosi e di uomini malati di Aids a prendere farmaci hanno trattato la depressione soggiacente per far tornare loro la voglia di vivere. “Ovviamente non hanno mandato lì degli psichiatri, ma hanno creato incontri comunitari in cui si discuteva di diverse tematiche. Così c’è stato un effetto collaterale e tutti hanno iniziato a curarsi dalla tubercolosi e dall’aids. Allora non è si sta meglio o si guarisce perché si viene messi dentro alla cura, ma perché si viene messi dentro a un contesto che ti fa pensare che vale la pena vivere”.

I servizi psichiatrici per funzionare devono essere potenti ma, attenzione, sottolinea, né onnipotenti né impotenti. Oggi, secondo Saraceno, il pericolo che corrono i servizi psichiatrici è quest’ultimo, di impotenza. Restringendo il proprio intervento, si rischiano gravi conseguenze in ciò che concerne la riabilitazione e i determinanti sociali.

“La riabilitazione è la ricostruzione della cittadinanza e non lo si fa con pratiche come l’ippoterapia o la musico-terapia. Non si capisce perché gli schizofrenici al di là della disgrazia di essere gravemente sofferenti debbano avere anche la disgrazia di essere poeti, pittori, musicisti. Ma voi quando andate a casa la sera cosa fate? Vi esprimete col pongo, fate un portacenere o vi sedete a leggere il giornale sul divano bevendo un campari? La riabilitazione deve essere la ricostruzione della santità della vita quotidiana. Per quanto riguarda i determinanti sociali, invece, non chiediamo agli psichiatri di abolire la povertà o le guerre, ma gli chiediamo di capire i bisogni delle persone fragili in modo che possano attivarsi nelle alleanze del territorio, nelle reti istituzionali e amministrative. Se non facciamo questo forse abbiamo davvero rinunciato al nostro mandato morale”.

La riabilitazione deve essere la ricostruzione della santità della vita quotidiana.

Prima di concludere Benedetto Saraceno si sofferma sul problema dei diritti dei pazienti psichiatrici mettendo in risalto la necessità di esigere che tali diritti siano rispettati attraverso l’applicazione delle leggi. Gli articoli 15 e 16 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che è legge dello stato in Italia, si riferiscono alla libertà dalla tortura e dai comportamenti inumani, degradanti, violenti. Nonostante possa sembrare che questi aspetti non riguardino un paese come l’Italia, ancora oggi nel nostro paese ci sono migliaia di malati nascosti in posti che non sono deputati alla psichiatria e sono messe troppo spesso in atto pratiche che violano le leggi della Convenzione.

Nel documento si legge anche che nessuno può essere sottoposto a trattamenti farmacologici e ad elettroshock senza il suo consenso; che, nonostante la rivendicazione delle migliori intenzioni da parte dei medici, i trattamenti psichiatrici imposti coattivamente a persone con disabilità sociale sono da considerarsi come trattamenti discriminatori; che è essenziale che ogni misura coercitiva sia bandita da tutti i luoghi dove vi sia deprivazione della libertà includendo ambienti psichiatrici e assistenziali. “Si vede come la Convenzione assimila molte delle pratiche che facciamo anche noi in Italia a trattamenti degradanti e disumani. Tra questi la contenzione, tema che non si capisce perché ancora sia al centro di dibattiti se sia la legge italiana sia le leggi intemazionali l’hanno già superata”.